Mamma, papà e tre bimbi, tutti autistici. «Ecco come superiamo i nostri limiti»

Per Monia Gabaldo, medico genetista veronese, e suo marito, la diagnosi è arrivata da adulti, dopo anni di visite mirate a capire le difficoltà dei loro bambini. L’intervista

Isuoi tre bimbi, lei e il marito. Nella famiglia di Monia Gabaldo, medico genetista veronese, sono tutti autistici. La diagnosi, per la mamma e il papà, è arrivata nel 2018, dopo anni di visite e consulti medici per capire perché i loro figli non comunicassero in alcun modo, «né con noi né tra loro, non mangiassero più di due alimenti a testa, volessero sempre gli stessi tessuti, scarpe o colori, non si accorgessero della nostra presenza e non volessero essere toccati o non sentissero le nostre carezze». 

È allora, ci spiega, che «siamo finalmente giunti ad una diagnosi, sebbene molto tardiva: Derek, 5 anni, aveva il quadro più grave e complesso, Liam, 3 anni, un quadro moderato e Colin, il suo gemello, più lieve. Nell’arco dei mesi in cui sono stati diagnosticati i miei tre figli abbiamo indagato insieme ai terapisti anche me e mio marito». Diversi centri hanno confermato – prima clinicamente e poi geneticamente – che sia Monia che il marito rientravano nello spettro autistico. 

Perché ha deciso di compiere indagini mediche anche su di lei e su suo marito?
«Perché ho sempre avuto difficoltà, fin da piccola, e caratteristiche che, sotto molti aspetti, erano identiche a quelle dei miei figli. Era quindi necessario capire se queste caratteristiche rientrassero nello stesso quadro diagnostico, per poter poi “usare” le mie strategie di compensazione a beneficio dei miei figli. La nostra diagnosi ha quindi giocato un ruolo chiave nel comprendere le difficoltà dei miei bambini, trovare strategie sulla base delle mie esperienze e rimodularle su ognuno di loro».

Perché a volte l’autismo non viene diagnosticato nell’infanzia? 
«Molti adulti sono “sfuggiti” alle diagnosi perché, per molto tempo, i quadri in cui le persone riuscivano a compensare le proprie difficoltà “mascherandole” erano poco noti. Ancora oggi pochi sono i terapisti dell’adulto in grado di distinguere lo spettro autistico da altre forme neuropsichiatriche che potrebbero confondere il quadro per via di comorbidità associate».

Lei è autistica, però, è medico, influencer (ha un canale YouTube), mamma, scrittrice (è autrice de La favola del pozzo arcobaleno e L’arcobaleno batte il Coronavirus).
«Non so se sia più triste che ci si sorprenda che una persona autistica raggiunga tali obiettivi o che si dia per scontato che raggiungere certi obiettivi sia stato facile. Io ho incontrato tante difficoltà, in verità, ma sono stata in grado di proseguire verso i miei obiettivi, nonostante tutto». 

Quali tipi di difficoltà?
«I miei voti erano spesso al limite della sufficienza, e sono arrivata anche a ripetere esami universitari più volte, alla conquista di un sofferto 18. Questo, però, non mi ha mai fermata perché il mio obiettivo andava oltre la paura di fallire ed il giudizio altrui. Che, sebbene mi facesse stare male e sentire inferiore rispetto ai miei coetanei, non mi ha mai impedito di finire ciò che avevo cominciato».

Quale era il «giudizio» degli altri?
«Sono sempre stata considerata una ragazza e una donna strana: non sono mai andata da un’estetista, e l’unica volta che mi ha visto la parrucchiera è stato per il mio matrimonio. Soffro di molti dolori muscolari, ma al solo pensiero di essere toccata da persone che non siano mio marito mi viene da piangere e non riesco né a fare terapie adeguate né a provare piacere in attività che la maggior parte delle persone considera gradevoli».

Quale è il miglior modo per avvicinarsi a un bimbo autistico e stringere amicizia con lui? 
«Ai bambini autistici piace giocare come tutti gli altri, il problema spesso è che non capiscono come farlo né le regole del gioco. È spesso sufficiente avere pazienza, dare tempo, spiegare il gioco con calma e con le figure, approcciandosi con i sorrisi, e non smettendo mai di coinvolgerli. Non il primo giorno, ma magari il decimo inizieranno a giocare. Un bambino autistico ha bisogno di quello di cui ognuno di noi necessita: di essere circondato da persone che credano in lui o in lei, senza se e senza ma».

Quali sono, invece, gli atteggiamenti da evitare? 
«Isolare il bambino o cedere alla sua frustrazione con atteggiamenti premianti o, al contrario, punitivi e aggressivi. Ognuno di noi vuole essere amato e spera in qualcuno che stia al suo fianco anche quando non ha voglia di giocare o è in imbarazzo perché non sa che fare. Il coinvolgimento non deve essere necessariamente attivo: può essere anche passivamente presente. Spesso fa più la differenza sedersi al suo fianco che passargli una palla, che gli fa paura. Vivere il mondo come lo viviamo noi non è necessariamente meno bello: è unico».

Crede che ci siano molte altre famiglie nello spettro? 
«Siamo in tantissimi, ma la società non permette un’accettazione delle diversità – e parlo di tutte le diversità – positiva e costruttiva: spesso risulta demolitiva e umiliante. I genitori quindi, anche se sospettano di essere nello spettro, lo vedono come un difetto e non necessariamente come risorsa. Il messaggio che arriva dalla società è spesso: “Se non sei come gli altri, sei inferiore”. Eppure sono proprio le menti e corpi unici a creare modelli per gli altri nella loro originalità, basta avere la forza di smettere di mascherarsi e cercare di apparire come gli altri, vincere la paura del giudizio altrui ed essere se stessi».

Che cosa fa, ogni giorno, per assicurare ai suoi figli la miglior vita possibile? 
«Insegno loro a conoscere le loro difficoltà e abilità per poterle usare per aiutare gli altri. Più aiutano gli altri, più si rendono conto di farcela, vincono le loro paure e raggiungono nuovi, meravigliosi e incredibili obiettivi».

Ha qualche timore per il futuro? Come lo affronta? 
«Temo una società insicura, ipocrita, che scarica timori e frustrazione su ciò che non conosce, allontanando e umiliando chi non rispetta il canone di “normalità” stilato dalla società in quel momento. Avere capacità uniche non significa non riuscire negli stessi obiettivi, significa solo trovare strategie e strumenti diversi per arrivarci. Così un gioco lo si può fare comunque insieme, e si può conquistare un diploma, senza abbassare gli obiettivi. Trovare strategie costa tempo, impegno e fatica, e in una società consumistica e abituata ad avere tutto e subito come quella odierna non è accettabile: è quindi più facile relegare in uno stato di “inferiorità” chi non rispetta i criteri di normalità, che per inciso identificano “il più comune nella popolazione generale” e non “il migliore”».

Come vive il fatto che i suoi figli siano autistici?
«I miei figli rimangono quadri complessi con disomogeneità di competenze l’un l’altro, ma ogni giorno non mancano di stupire le persone intorno a loro con l’abilità a trovare strategie che permettano loro di raggiungere gli stessi risultati dei coetanei. Sono una squadra invincibile non perché omologata, ma perché conscia di potenzialità e limiti. Loro tre sanno sfruttare le loro abilità per superare i limiti ogni giorno aiutandosi. Il nostro motto è: “Combattere sempre, arrendersi mai”. Tutti vogliono vedere posti nuovi, e vivere il mondo con occhi diversi: chi meglio di noi può farlo, e perché non viverlo insieme a noi?».

[Fontehttps://www.vanityfair.it/article/famiglia-autistica-monia-gabaldo– Articolo di  Monica Coviello