«All’asilo ero stato scelto per interpretare San Giuseppe. Prima di entrare in scena, feci ridere la bambina che interpretava la Madonna. E fui squalificato», racconta Elio (delle Storie Tese) durante il viaggio in auto direzione Toscana per portare al Politeama Pratese lo spettacolo «Ci vuole orecchio. Elio canta e recita Enzo Jannacci» che arriva qui dopo una cinquantina di repliche in tutta Italia. Dai pezzi più surreali degli esordi fino a quelli più malinconici degli ultimi anni: una selezione di brani anche poco noti, inframmezzati da ricordi di Umberto Eco e Dario Fo, Francesco Piccolo, Marco Presta e Michele Serra, restituiscono il ritratto di Jannacci a tutto tondo: una scoperta per buona parte del pubblico. «Stiamo riscontrando un tale entusiasmo che, credo, andremo avanti almeno un altro anno con questo spettacolo», commenta Elio. Non chiamatelo Stefano Belisari. Se l’artista ha a lungo tenuto nascosto il suo vero nome, prendendosi gioco degli interlocutori con false identità, è per la decisa volontà di tenere la vita privata ben distinta dal personaggio. Con un’unica, serissima, eccezione: la «storia tesa» di suo figlio, che l’ha spinto a metterci la faccia per promuovere una corretta informazione e azioni concrete a sostegno delle famiglie con figli autistici.«Siamo ancora all’anno zero. Anzi, sottozero, perché il servizio pubblico non si è ancora messo in moto per sostenere le 600 mila persone autistiche che ci sono in Italia: praticamente un partito politico», dice.
Parliamo di musica, comicità e autismo. Di vita. Perché, come avrebbe detto Jannacci: chi non ride non è una persona seria.
«Posso dire di aver fatto mia questa frase. Purtroppo in Italia chi fa ridere viene visto come un artista di serie B. Io sono invece convinto che Jannacci andrebbe collocato nel Pantheon dei grandi cantautori, accanto a Dalla e a De André. Questo è uno dei motivi per cui ho pensato di dedicargli uno spettacolo che, in verità, è soprattutto un atto di egoismo: cantare i suoi pezzi mi diverte; è una grande occasione di allegria per me e i cinque della band».
Quando ha «incontrato» il «poetastro»?
«Molto presto. È stato compagno di classe di mio padre. Abbiamo sempre avuto i suoi dischi. E anche se non ci siamo mai incrociati, è sempre stato uno di casa».
Cosa ha rappresentato per lei Jannacci quando ha scelto di studiare musica?
«Non ho mai pensato a lui coscientemente come un faro. Ma voltandomi indietro mi accorgo di avere fatto tante cose simili. A cominciare dal Conservatorio (Elio è diplomato in flauto, ndr) e dagli studi scientifici (medicina lui, ingegneria io). E poi la milanesità, l’anticonformismo e la comicità. Quando ho dovuto decidere cosa fare, è stato facilissimo pensare a qualcosa che mettesse assieme la musica con la mia capacità di fare ridere».
Perché ha studiato ingegneria?
«Per convenienza: era ed è, credo, la laurea che apre maggiori possibilità di assunzione. Pensavo tra l’altro di essere portato per le materie scientifiche più che per quelle umanistiche. Quello che è venuto poi è l’ennesima prova che nella vita le cose vanno come vogliono loro. Comunque, consiglierei a tutti di studiare ingegneria, perché insegna un metodo con cui si può affrontare tutto. Anche fondare Le Storie Tese».
Per la Giornata mondiale sull’autismo, sabato 2 aprile, La Compagnia di Firenze proietta in anteprima nazionale, alle ore 16, il documentario «I mille cancelli di Filippo», per il quale lei ha scritto la musica…
«Gli autistici hanno una “passione” (se così la possiamo chiamare). Filippo Zoi è un esperto di cancelli. Sono partito da lì per raccontare, attraverso la musica, un mondo che io stesso ignoravo prima che nascesse mio figlio».
Di figli con sua moglie Camilla ne ha due: Dante e Ulisse, nati nel novembre 2009. Proprio grazie al confronto con lo sviluppo cognitivo del fratello gemello, Dante ha potuto avere una diagnosi precoce…
«Ci dicevano che bisognava aspettare i 3 anni. Ma già a un anno i segnali possono essere tanti. Il problema è che esistono poche figure specializzare in grado di intercettarli, per intervenire al più presto. Anche ora che Dante ha 12 anni, dobbiamo noi da casa guidare gli insegnanti di sostegno. Esiste una terapia comportamentale che aiuta ragazzi e ragazze autistici a essere inclusi e costruirsi le armi per vivere una vita autonoma e indipendente. Ma nelle scuole non ci sono le competenze. Non lo dico solo da genitore inviperito. Penso anche che stiamo lasciando indietro potenziali uomini e donne che domani potrebbero pagare le tasse, piuttosto che essere un costo».
Per cosa bisogna oggi avere orecchio?
«Dobbiamo avere attenzione a ciò che ci sta attorno; stare attenti agli altri; volerci bene».
[Fonte: https://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/cronaca/22_marzo_29 – Articolo di di Caterina Ruggi D’Aragona]